Illustrazione di Mary Gallardo
Molti tagli di capelli fa, la mia condizione di giovane adulta nubile mi induceva pian pianino a farmi quella che per ogni donna è la Domanda.
Dopo una lunga relazione affettiva in età adolescenziale e altre relazioni più brevi, mi ritrovavo libera da legami, decisa a investire su me stessa.
Ma una minaccia si insinuava.
Arrivata alla soglia dei trent’anni, single e domiciliata in un paesello isolato e desolato (se lo chiamo Piccolo Mondo Antico un motivo c’è) mi convincevo di una cosa: se non mi fossi mossa, sarei rimasta sola.
Senza compagno e senza figli.
Sarei senz’altro finita sul giornale “anziana signora trovata in casa dal vicino. Morta due anni prima.”
Conoscenti su con l’età si rivolgevano a mio padre, farmacista di Piccolo Mondo Antico, dicendo “Allora Otto, ora che è laureata, manca solo un nipotino”.
Seguivano silenzi imbarazzati da ambo le parti.
Era l’anno in cui il ministro Lorenzin promuoveva il #Ferilityday e rimasi scioccata dagli slogan “la fertilità è un bene comune”.
Davvero la fertilità è un bene comune e io non mi stavo facendo carico delle mie responsabilità? A chi dovevo un impegno così grande? Mettevo in discussione la tutela della fertilità ed ero disinteressata alla piaga della denatalità?
All’epoca non avevo gli strumenti per difendermi da queste pressioni, e al confronto con un’amica -fidanzata e con le idee ben chiare su cosa volesse- sosteneva che sì, la fertilità è un bene comune. Risultato: amareggiata e contrariata, battevo ritirata dalle discussioni.
Ero solo io ad essere troppo egoista, troppo immatura per comprendere l’urgenza di non sprecare la mia fertilità? Alle conversazioni del “meglio ora che dopo” e “se poi ci ripensi?” rispondevo col silenzio.
Non uscire vincente dal dibattito, non riuscire a dimostrare prima di tutto a me stessa la complessità e la soggettività della questione, mi frustava.
Forse ero io ad essere in fallo. Seguivano sensi di colpa.
Pur non credendoci fino in fondo, mi sono suggestionata che sì, mancava qualcosa nell’orizzonte delle mie aspettative. Stava a me correggere il tiro.
Da dove partire quindi? Dalla materia prima.
Scaricata un’app di incontri, toccava vincere il pudore iniziale, dal sapore squisitamente patriarcale, poi smontato dal sostegno delle mie amiche che rispondevano “fregatene” al “ma se si viene a sapere che mi sono abbassata a tanto??”.
Passavano anni di frequentazioni con molti uomini interessanti, simpatici, acculturati e indipendenti. Tutti mi colpivano in modo diverso ma con nessuno sentivo l’esigenza di essere sincera. Ero più interessata a conoscerli, anziché farmi conoscere.
La mia indole di osservatrice prendeva con prepotenza il sopravvento: l’obiettivo di trovare un partner passava in cavalleria, senza che me ne rendessi conto.
Ero una visitatrice nel museo dell’umanità ben lontana dall’autentica ricerca di un tassello che completasse il puzzle della vita. Avevo trovato un posto in prima fila nello spettacolo della Macchia Umana. E mi piaceva.
Poi, la noia: interessante sì, ma c’erano anche altre cose da fare.
Nel frattempo iniziava la mia catechesi al femminismo: divoravo libri e imparavo un nuovo linguaggio capace di tradurre le mie convinzioni.
Per la prima volta avevo il fiato per scaraventare, il castello di carte nel quale ero mi ero inserita.
L’incontro con amicizie profonde aveva formato attorno a me una famiglia, la mia, senza che me ne rendessi conto.
Nulla mi mancava al di fuori di me, per rendermi soddisfatta di quello che ero.
Se sei donna, se hai superato i trenta, i quaranta o i cinquanta, e se non hai figli, impara a difenderti dalle paure che bruciano la leggerezza con la quale va presa la vita.
La fertilità non è un bene comune: è un fatto privato, con assoluta e intima libertà di scelta.
E per la maggior parte delle volte, non dipende nemmeno da noi. E allora, quali sono i valori universali da tutelare in fatto di fertilità e genitorialità? Difficile dirlo, ma ci provo.
In questo contesto, il solo bene comune che riconosco con chiarezza sono le nuove generazioni: verso i ragazzi e le ragazze che verranno sento davvero la responsabilità di custodire risorse.
Se vi domandate cosa ne sarà della vostra fertilità o se volete aggiungere più sfumature al significato di genitorialità, letteralmente la capacità di saper generare, vi consiglio l’ascolto del podcast Acerbe.
L’amica che sosteneva che la fertilità fosse universalmente un bene, ha deciso di sfilarsi dai miei affetti con mio grande dolore. Ho smesso di interrogarmi sul perché di questa scelta quando ho imparato da Tinder che siamo individui diversi e con bisogni diversi.
So che dedica tutta se stessa alla famiglia costruita in età giovanissima e che è felice.
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